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Siamo ancora ferme al 1900?

Dalle elezioni di aprile è uscito in Ticino un governo di cinque uomini. In Gran Consiglio i seggi occupati da candidate sono invece aumentati. Uno spunto per interrogarsi sull’evoluzione della nostra società. 

 

All’indomani delle elezioni cantonali che ci hanno regalato un Consiglio di Stato declinato al maschile, tutti i commenti esprimevano rammarico e stupore per la mancanza di una donna in governo. Rammarico tardivo e anche un po’ ipocrita, perché lo sapevano anche i paracarri che l’esito sarebbe stato questo, con buona pace di chi ha tirato in ballo la “sensibilità femminile” e il “punto di vista diverso” sui problemi. Dispiacere accantonato in fretta per gingillarsi con il numero di seggi (22) andati a candidate donne in Gran Consiglio, una percentuale del 24,4% che finalmente sfiora la media svizzera (25,5%). Un risultato positivo, ma forse non sufficiente per accantonare la riflessione sulle pari opportunità in politica. Di fatto, i 30 seggi aggiunti in Gran Consiglio nel 1971, dopo il diritto di voto alle donne, proprio per far loro posto anche sui banchi del parlamento, non sono ancora occupati da granconsigliere.

Serve più impegno dei partiti

I legislatori che ci hanno preceduto erano senza dubbio ottimisti, credevano nell’essenziale apporto in politica di tutti – e dunque anche delle donne – e probabilmente avevano ben in mente che parte dell’elettorato era composto da donne. In Ticino le donne sono il 54% del corpo elettorale, ma pare sia una “quantité négligeable”.

Ma tornando ai commenti post elezioni, nessuno che abbia detto una cosa elementare e semplice: se i partiti non candidano le donne e non credono fino in fondo nelle loro candidature, anche per posizioni di vertice, è molto difficile che le donne vengano elette. I partiti su questo punto hanno pronta la loro ricetta auto assolutoria: colpa delle donne che non votano le donne e colpa delle donne che non vogliono candidarsi.

La vittoria dei cliché

A parte il fatto che la colpa non sta mai da una sola parte, le donne che si candidano sono poche, è vero, ma qualcuno si è dato la pena di chiedersi perché? La risposta si è avuta in campagna elettorale: una giovane candidata al Consiglio di Stato alla prima esperienza politica è stata derisa in modo vergognoso per la sua avvenenza; un’altra è stata mal sopportata perché ha voluto profilarsi come avrebbe fatto un uomo determinato a vincere. Insomma l’hanno fatta da padrone due triti cliché: se una è bella deve essere per forza un’oca, se una è volitiva è senza dubbio un’isterica rompiscatole. Considerazioni che non si fanno su candidati uomini: il belloccio in lista funziona e nessuno si chiede se abbia anche sale in zucca, il risoluto è uno che sa il fatto suo anche se è alle prime armi e nessuno si sogna di dargli del saputello. Le donne non hanno questo lasciapassare. Se poi sono giovani e belle, apriti cielo, diventano subito materia di satira, come di fatto è stato. Satira che dovrebbe far riflettere e che è massima espressione di libertà. Chi ne paga però il prezzo sono quasi sempre le candidate e politiche donne. Troppo facile dire che se una scende nell’arena politica deve mettere in conto alcune cose, deve informarsi su quello a cui va incontro. Credo che neppure riflettendoci davvero bene, una candidata con una storia e una professione di tutto rispetto possa essere preparata a confrontarsi con una caricatura a sfondo sessuale che esalta le forme su un giornale satirico senza aver ancora mosso un dito per la politica del cantone. Un privilegio, questo sì, che sembra riservato solo alle donne. Un sindaco in mutande mentre taglia l’ennesimo nastro si è mai visto? O un Beltra-torace?

Una vecchia battuta femminista dice che la parità sarà raggiunta quando una donna incapace otterrà un posto di potere. Applicandola alla politica, ciò accadrà quando una donna bruttina e impacciata sarà eletta. Perché in politica siamo tutti, anche le donne, vittima di un modello di perfezione che però si applica solo alla minoranza, proprio perché numericamente meno rappresentata. Agli occhi dell’elettorato e anche dei media, la candidata donna deve essere super perfetta e rientrare nell’immagine stereotipata che abbiamo tutti e tutte verso il femminile: carina, dolce, remissiva, con la gonna non troppo corta ma non vestita da uomo, con una giusta attenzione al look ma senza essere frivola, intelligente e capace, ma non troppo brillante, con scarpe femminili ma non con il tacco 12, deve sapere le cose ma non troppo altrimenti è una maestrina, non deve mettersi troppo in mostra sennò è un’arrivista... Quale uomo riuscirebbe a passare questo esame? Quale politico uomo risponde a tutti questi requisiti? Quale persona, quale essere umano, può vincere contro un ideale?

Nessuno presta attenzione alla brutta cravatta di un politico, alla pancia del candidato che deborda dalla cintura, ai suoi calzini corti, alle sue scarpe scoordinate, alla sua forfora sulla giacca. Se poi fa anche qualche gaffe nessuno sta lì a ricordargliele a vita... Pensate a quanti uomini così abbiamo eletto senza neppure ferirli con la satira e che fanno comunque bene il loro lavoro.

Un cambiamento di prospettiva necessario

Lo potrebbero fare altrettanto bene anche le donne, dare il loro contributo, arricchire le discussioni, scompaginare carte e pensieri con l’apporto della diversità. Invece ci rinunciano. A ragione. Perché se al rischio di non essere prese sul serio, di subire una smodata pressione sull’aspetto esteriore, di sgobbare il doppio per dimostrare le loro capacità si aggiunge la fatica di coordinare l’impegno politico con quello professionale e familiare, è evidente che il piatto della bilancia salta e una donna si dica “ma chi me lo fa fare?”. Perché non proviamo a rispondere a questa domanda e a mettere in atto qualche contromisura? Alla fine si capirà che di un cambiamento di prospettiva e di visione ne abbiamo bisogno tutti. In politica e anche altrove. E non si tratta di femminismo, si tratta di correggere una stortura, di trovare una nuova rotta che migliorerebbe il nostro modo di fare politica e di trovare soluzioni.

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