La trinità bantu, un libro di Pro Helvetia, in scena a Internazionale

Grazie al sostegno di Pro Helvetia Fondazione svizzera per la cultura, a Ferrara è stato presentato un libro che attira subito l’attenzione, già a partire dal titolo: La trinità bantu, terzo romanzo di Max Lobe, scrittore camerunese, che a partire da ottobre è disponibile nella sua versione italiana.
Stella N’Djoku
Lobe, che ha studiato a Lugano e attualmente vive a Ginevra, racconta la storia di Mwana, ragazzo cresciuto nel “bantuland” che ora vive in Svizzera e che un giorno viene “inspiegabilmente” licenziato…
La trinità bantu si giostra tra la Svizzera e il Camerun, tra la famosa campagna UDC della pecora nera e la malattia “dei ricchi” (che, chiaramente, corrisponde a “bianchi”) della madre di Mwana. Ci sono la discriminazione razziale, sessuale, c’è la sofferenza, ma ci sono anche gioia e autoironia. Sicuramente le tematiche che Lobe sviscera sono numerose, come per esempio il rapporto con la madre e la sorella, simboli della “fierté afriquenne”, che gli invieranno cibo dal Camerun perché l’Europa lo ha “sciupato”, che legano Mwana in modo viscerale con la sua terra, anche se lontana, perché «la bocca che ha poppato mai si scorda il sapore del latte», o ancora, il rapporto con la nuova capa, quando Mwana si ritroverà a lavorare per una ONG, col più che sospetto di essere stato assunto solo per il fatto di essere nero (e omosessuale): si chiederà il protagonista, a quel punto, per quale causa si combatte se non si guarda chi si ha vicino? Per ideologia? Per tenere pulita la coscienza?
Nel romanzo si alterna tutta una simbologia, quella del tre (a cominciare dal fatto che è il terzo romanzo di Lobe), già presente nel titolo: la trinità divina Nzambe/Loba, gli spiriti, gli antenati/i morti, la trinità, potremmo dire, della “vergogna” dove troviamo la disoccupazione, la malattia della madre, la percezione (altrui) dell’omosessualità, della razza, e infine la “troppia”, il rapporto poliamoroso vissuto da Mwana e il suo compagno svizzerissimo Ruedi. Anche in questo caso, il racconto di Max Lobe si apre non solo alla simbologia, ma anche a tutta una sensibilità squisitamente africana, ma anche tutti i tabù di un popolo, inseriti nel contesto europeo. Se ci soffermiamo sulla «troppia», ad esempio, possiamo notare non un’idea di trasgressione, ma il sentimento di un cuore che si sdoppia, che si moltiplica: «se nel mio cuore c’è posto per uno, allora ci può essere posto per n persone, per tutto l’universo»…
Il libro, che alterna il linguaggio leggero e ironico della quotidianità a uno più serio e denso di emozioni, si rivela non solo all’altezza della presentazione a cui si è assistito a Ferrara, dove per la prima volta un luogo da vuoto si è riempito più passava il tempo e non il contrario, come spesso accade, allora sarà stato un grande successo, ma anche delle aspettative di lettore, che non viene catapultato in un romanzo ideologico e propagandistico, ma viene trasportato dai flussi di sensazioni regalate dall’autore.

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