Due chiacchiere con Marco Cameroni
L’ospite dell’assemblea dei pensionati Ticino e Moesano, il 14 aprile a Rivera, si racconta, tra un aneddoto e un ricordo.

In molti riconosceranno la sua voce inconfondibile, quella del telegiornale nazionale storico della Società svizzera di radio e televisione (SSR), concepito, realizzato e diffuso da Zurigo per tutto il paese. “Sono stato 27 anni alla tivù, da quel 1° agosto 1962 quando mi presentai nella città sulla Limmat, come volontario, alla redazione di lingua italiana. Con i pantaloni corti, come diceva il Caporedattore Dario Robbiani. A 18 anni, dopo la Commercio, senza scuole particolari di giornalismo ma animato, come i miei colleghi, da una grande passione. È stato un periodo stimolante, perché siamo cresciuti noi insieme all’azienda.
Dopo i primi tre anni come volontario, la televisione di allora mi ha confermato e ho ricoperto vari compiti: redattore, presentatore del telegiornale, animatore di un programma per giovani, inviato speciale, Capo edizione e più tardi corrispondente a Palazzo federale. Lì è avvenuto il cambiamento di rotta: dalla tivù al Dipartimento federale degli affari esteri. Nella vita, è importante essere nel luogo giusto al momento giusto: a me è accaduto due o tre volte. E così è stato anche per il mio percorso diplomatico, chiamiamolo così. Un mattino il portavoce del Dipartimento mi invita a bere un caffè in uno storico locale situato di fronte Palazzo. Con mia grande sorpresa, mi chiede se volessi essere il suo successore alla guida del Servizio informazione e stampa del ministero. Questo è il desiderio del Ministro, precisa. Cado dalle nuvole. Penso che sia uno scherzo. Mi convince fissando un appuntamento con il Consigliere federale, che mi concede una pausa di riflessione di tre settimane a fronte dei miei dubbi. In sostanza, temevo di diventare la “voce del padrone”, dopo la libertà avuta in televisione, dove servizi e commenti non avevano subito censure. Non ho mai saputo i motivi che avevano spinto il Ministro degli esteri a pensare a me. Forse sono state le interviste trilingui in diretta ai Consiglieri federali eletti e rieletti, un compito non sempre agevole, che la SSR mi aveva affidato per otto anni. Alla fine, ho accettato. E ho fatto bene, perché ho avuto tantissime soddisfazioni. Ho trascorso al Dipartimento degli affari esteri 17 anni molto intensi, con diverse funzioni, tra cui quella di Console generale di Svizzera a Milano.
È questa la vita che sognava? Cosa voleva fare da bambino?
Ricordo con piacere un interesse, una sorta di passione per l’animazione, per il pubblico, negli anni dell’adolescenza trascorsa a Chiasso, dove ho vissuto questo periodo importante della nostra vita. Ad esempio, con alcuni coetanei avevo organizzato una serata pubblica con musica e balli dove si pagava l’entrata: i proventi ci avevano permesso di organizzare una gita al lago di Garda! Sempre a Chiasso, per un certo periodo ero attore della compagnia teatrale dell’oratorio. Ho fatto il cantante in un gruppo musicale composto da… pianista, violinista e batterista! Facevamo musica da ballo, eravamo invitati a feste popolari del Mendrisiotto. Una volta avevamo sbagliato anche indirizzo e al posto di recarci in un locale eravamo arrivati in un luogo sede di un partito! Una delle canzoni preferite che interpretavo sovente era “Con 24.000 baci”, di Celentano.
Il giornalismo quando è arrivato?
Durante gli esami finali alla Scuola di commercio, il Professore di letteratura italiana e di tedesco Bixio Candolfi (che sarebbe poi diventato Direttore dei programmi radiotelevisivi della RTSI, come si chiamava allora) ci informò che a Lugano stava nascendo la televisione. E che cercava giovani: io sono stato l’unico della classe ad alzare la mano! A casa, ne parlo subito con i genitori. Mia madre, donna ticinese con i piedi per terra, mi guarda e mi dice: ma va, lascia perdere, meglio diventare funzionario! Mio padre, guardia di confine, invece, ci credeva al punto da chiedere un appuntamento con il primo Direttore della televisione dell’epoca, Pupo Marazzi. Il quale ci invita nel suo ufficio nell’edificio che ancora oggi è sede della radio a Besso e dice a mio padre: mandi suo figlio a Zurigo, dove un gruppo di giovani realizza il Telegiornale. Può rimanere lì per esempio sei mesi, impara il tedesco poi tornerà a Lugano a darci una mano. Non sono più tornato…
Quale il suo rapporto con i sindacati?
Non ho mai fatto parte di un sindacato. Però posso raccontare della mia amicizia con un grande sindacalista dell’epoca, Ezio Canonica. Originario della Val Colla, ha fatto la sua carriera nella Svizzera tedesca. Il nostro è stato dapprima un rapporto di natura professionale: lo avevo intervistato diverse volte dagli anni ‘60, come Presidente dei metallurgici poi come Presidente dell’Unione sindacale e infine come candidato al Consiglio federale. A un certo punto, mi aveva invitato a raggiungere il Partito socialista. Avevo rifiutato. Con una convinzione rimasta tale: un giornalista, specie del servizio pubblico, deve cercare sempre di essere il più indipendente possibile. Ciò non toglie di avere le proprie idee, le proprie certezze. Ma nel giornalismo bisogna stare attenti: non si può diventare portavoce di un’idea o di un partito. Questa è stata anche la mia motivazione per non aderire a un sindacato.
E ora?
Mi definisco membro del prestigioso club dei giovani pensionati – risponde sorridendo – nel senso che ho la fortuna di poter contribuire alla società, grazie alla partecipazione attiva in numerose organizzazioni. Come la Fondazione Internazionale Eugenio Balzan, che promuove nel mondo la cultura, le scienze e le più meritevoli iniziative umanitarie, di pace e di fratellanza tra i popoli. Mediante in particolare quattro premi annui: due nel settore scientifico, due in quello umanistico. Ogni riconoscimento è accompagnato da un assegno di 750 mila franchi. A questi si aggiunge un Premio per l’Umanità, la Pace e la Fratellanza tra i popoli, consegnato a un intervallo mai inferiore ai tre anni. Mi permetto di evidenziare qualche particolarità di una fondazione di prestigio internazionale. Si tratta di un’istituzione italo-svizzera. Zurigo ospita la sede del ramo elvetico, la Fondazione Balzan “Fondo”, il cui compito è la gestione del patrimonio e la messa a disposizione del ramo italiano dei mezzi necessari alla realizzazione degli obbiettivi statutari. A Milano si trova il braccio italiano, la Fondazione Balzan “Premio”, composto di un Consiglio e di un Comitato generale premi. Quest’ultimo è un organo chiave siccome sceglie ogni anno le materie e propone i laureati, le cui candidature vengono presentate da istituzioni scientifiche e culturali del mondo intero. In ogni Consiglio siede un membro nominato dai rispettivi governi. La qualità e il prestigio della Fondazione Balzan scaturiscono soprattutto dalle materie e dal curriculum dei candidati. Di tanto in tanto accade che laureati del Premio Balzan vengano insigniti del Premio Nobel per le stesse ricerche. Un’altra particolarità è la Cerimonia di consegna dei Premi, che si svolge alternativamente a Roma e a Berna. Nella Capitale italiana al Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica, nella città federale nella Sala del Consiglio nazionale, con un Consigliere federale o la/il Presidente della Camera del popolo.
Perché proprio la Fondazione Balzan?
Profondi sono i legami con il nostro paese, storici e attuali. Eugenio Balzan, personalità di primo piano di Milano all’inizio del ventesimo secolo, lascia l’Italia nel 1933 a causa del fascismo, ostile a ciò che rimane dell’indipendenza del Corriere della Sera, di cui egli è in qualche modo l’uomo forte nel completo di Direttore amministrativo della Società d’edizione del quotidiano più diffuso del paese. Ciò dopo essere stato un eccellente giornalista. Balzan si sistema tra Zurigo e Lugano, dove aveva investito con successo il suo patrimonio e dove aveva proseguito la sua attività di beneficenza a favore di istituzioni e di privati. Tornato ufficialmente in Italia nel 1950, egli muore a Lugano, all’Albergo Weisses Kreuz (Croce bianca), il 15 luglio 1953.
Tre anni dopo, sempre a Lugano, nasce la Fondazione grazie alla generosità della figlia Lina, che destina l’importante fortuna ereditata a un’opera che porti il nome del padre. Sul piano locale, sono membro dell’Associazione Meride Insieme, nata per rilanciare la vita sociale in un borgo che considero tra i più belli del Ticino. Essa ha aperto il “bottega bar l’incontro”, con la possibilità di acquistare generi alimentari di prima necessità, ma soprattutto per favorire l’incontro tra le persone e le diverse generazioni. Infine, ci sono altre associazioni culturali che offrono ancora il privilegio di occuparmi di cose interessanti. Come l’Associazione Amici dell’Accademia di architettura di Mendrisio, il cui scopo è il finanziamento di borse destinate a studenti intelligenti ma poveri. O come il Locarno Film Festival, di cui sono Membro d’onore, dopo averci lavorato 23 anni, indossando completi diversi.