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A quando la vera utopia?

Il 5 giugno il popolo è chiamato alle urne per sfatare un’«utopia»: ovvero il versamento di un reddito di base incondizionato a ogni adulto e bambino che vive in Svizzera. Se destra e padronato sono uniti nel rigettare un tale meccanismo, la proposta invece divide la sinistra. I sindacati sono piuttosto contrari (come si può leggere all’interno del giornale), poi ci sono partiti che esprimono un «cauto sì», altri che criticano l’iniziativa perché «non esaustiva», e altri ancora che si guardano bene dal prendere una posizione chiara. Dunque il progetto verrà rifiutato, il che non traumatizza troppo i fautori dell’iniziativa il cui obiettivo era coinvolgere l’opinione pubblica nella discussione attorno all’argomento. Peccato che questo importante dibattito sul lavoro e la remunerazione sia fallace per via di alcune imprecisioni dell’iniziativa popolare. Il testo in effetti si accontenta soltanto di enunciare un principio: “La Confederazione provvede all’istituzione di un reddito di base incondizionato” consentendo alla popolazione di “condurre un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica”, senza precisarne chiaramente il senso. Secondo il comitato dell’iniziativa, questo reddito di cittadinanza sostituirebbe parzialmente un po’ di salario e un po’ di sicurezza sociale, oscillando tra un «reddito e una rendita universale». Così facendo, questo ambiguo progetto contrappone il reddito di base sia al lavoro che alle assicurazioni sociali, dal momento che esso non è né del tutto un salario diretto né del tutto un reddito sociale di ridistribuzione. Esso dunque apre le porte a un mercanteggiare sul costo dell’operazione e alle controversie attorno alle sue fonti di finanziamento.

A qualsiasi condizione, si sarebbe guadagnato in chiarezza opponendo frontalmente il reddito di cittadinanza ai lavoratori stipendiati. Perché oggi il vero problema in Svizzera non è il lavoro o la sicurezza sociale, ma il sistema di (ri)distribuzione delle ricchezze prodotte in massa e accaparrate soprattutto da una piccola minoranza. E in questo senso il lavoro salariato mostra i propri limiti: da una parte sempre più profitti e dividendi, dall’altra sempre più impieghi precari e più disoccupazione. Non più dipendere da un salario per arrivare a fine mese uscendo finalmente dal lavoro dipendente! E dunque uscire da questo rapporto sociale di subordinazione e dominazione legate alla dipendenza da un salario versato da un’azienda. Fine del potere dei piccoli capi e dell’obbligo di trovarsi un lavoro alienante solo per campare! Bene, facciamo due conti: prendiamo la massa salariale totale versata annualmente in Svizzera di 350 miliardi di franchi e dividiamola per 8 milioni di abitanti. Arriviamo a una somma forfettaria di 40’000 franchi a persona. Una ripartizione lineare dei frutti dell’attività produttiva del Paese lascerebbe dunque 120’000 franchi di “salario sociale” lordo a una coppia con un bambino – a partire dalla sua nascita – se essa venisse regolata da una legge egualitaria e vincolante e non lasciata nelle mani dell’arbitrarietà dei datori di lavoro nell’ambito dei contratti di lavoro individuali.

A questo prezzo, un lavoro produttivo perenne continua a “valere la pena”, il che squalifica tutte le arguzie sul preteso ozio generalizzato che ne conseguirebbe, sull’impossibile finanziamento del reddito di base o sulla demolizione programmata del sistema di sicurezza sociale. Insomma, la vera utopia deve ancora arrivare.

Michel Schweri

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