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Alla conquista del potere

Lo scorso 21 gennaio, la Women’s March ha riportato le donne (e anche molti uomini) sulle strade di Washington. La manifestazione americana ha aperto una serie di eventi e iniziative un po’ in tutto il mondo. Per protestare contro l’elezione a presidente di un maschilista come Trump, ma anche per ricordare alle donne che occorre osare un po’ di più.

 

l«Women are the wall and Trump will pay» era il mio cartello preferito tra le decine di migliaia sbandierati durante la «Women’s March» a Washing-ton, lo scorso 21 gennaio. «Le donne sono il muro, e Trump la pagherà». Con milioni di partecipanti, le marce delle donne contro Trump hanno scritto una storia di pagina americana. Ho iniziato a seguire seriamente la campagna elettorale statunitense il giorno in cui Donald Trump è diventato il candidato ufficiale del Partito Repubblicano. A mio avviso, il momento più basso è stato il secondo duello televisivo contro Hillary Clinton. Il camminarle intorno, il tirare su col naso dietro le sue spalle e i continui rumori fastidiosi. Quanta mancanza di rispetto. Successivamente è spuntata in Internet una trascrizione del «dibattito». È un tragico documento di frasi interrotte e affermazioni, un susseguirsi di «mansplaining» e «manterrupting», disprezzo, volgarità. E poi la storia del «Grab them by the pussy», l’affermazione maschilista di Trump documentata da un vecchio video! E il discorso commovente di Michelle Obama. Ne ero certa: le donne avrebbero fermato Trump. Le cose sono invece andate diversamente. Come se ciò non bastasse, Trump è stato votato dal 53% delle donne bianche aventi diritto, mentre il 94% delle donne di colore ha sostenuto Hillary Clinton.

Il coraggio di osare

Dal 21 gennaio non c’è stato giorno in cui le organizzatrici della «Women’s March» non abbiano ripetuto: «Non si è trattato di un evento. È stato un inizio, l’inizio di un movimento». Stando alla loro newsletter, centinaia di migliaia di donne hanno partecipato finora alle migliaia di eventi organizzati a livello locale. Sono state lanciate nuove iniziative, e quelle già in essere hanno ricevuto una notevolissima spinta. È il caso di «EMILY’s List». Dal 1985 l’organizzazione si adopera affinché donne progressiste e democratiche arrivino a ricoprire cariche politiche a tutti i gradi e livelli. «EMILY» è l’acronimo di «Early Money Is Like Yeast», ovvero «i soldi che arrivano presto sono come il lievito». Il senso è che chi dispone di mezzi da impegnare in campagne elettorali può attrarre altro denaro. Nel 2016 i membri della community EMILY sono saliti a 5 milioni.

Sarebbe bello se i principi di «EMILY» contagiassero anche la Svizzera. Quando ci chiediamo «perché io?» potremmo risponderci semplicemente: «Perché no?». Che si tratti di assumere un compito, una carica, una posizione di comando, di ottenere un lavoro. Oppure di accettare la richiesta da parte di un media di partecipare a un confronto tra esperte, a un’intervista alla radio o a un dibattito televisivo… Forse sarebbe d’aiuto non rispondere subito «no» e chiedersi: «Quando mi espongo di che cosa avrei bisogno per sentirmi tanto competente quanto effettivamente sono? E che cosa posso fare per avere ciò che ancora mi manca e mi rende più forte?». E, infine, occorre osare un po’!

Una lezione da seguire

«EMILY’s List» ha pubblicato un promemoria: «Reject apathy and the status quo. Repeat daily». Combattere l’apatia e lo status quo e farlo quotidianamente. Dovremmo «Not participate. Lead», ovvero: non solo partecipare, ma comandare. Assumere il comando? Come dicevo: perché no? Perché non proprio tu? Mostrarsi ed essere visti. O che ne pensi di questo, lettrice: «Be an authority. Communicate with confidence, rationale and clarity. Answer questions with answers, not more questions, and demand the same in return. Be attentive. Be understood. Understand». «Sii un’autorità», questa l’esortazione. «Comunica avendo fiducia in te stessa, con mente fredda e chiarezza. Rispondi alle domande con risposte, non con altre domande, e pretendi altrettanto. Sii attenta, fatti comprendere e comprendi». Ma è adesso che le cose si fanno difficili: «Relentlessly dismiss the comfort zone» – segui la strada che ti fa sentire meno a tuo agio, sempre.

Non vorrei ora semplificare dicendo che «dal nulla non si ottiene nulla». Ma a tutti quelli che leggendo hanno pensato «Ah, molto americano! L’autostima! Gli slogan!», a tutti loro dico: sì e allora? Dov’è il problema? Almeno per una volta potremmo fare nostra questa lezione.

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