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“Cambiare la vita delle donne per cambiare il mondo”

Donne, ma non solo, in marcia attraverso i continenti per denunciare le tante discriminazioni delle quali sono ancora vittime. A metà maggio si sono toccate le tappe ticinesi. Un momento di riflessione per capire i motivi per i quali in una società che si definisce moderna le donne continuano a pagare un caro prezzo a livello sia salariale che sociale e purtroppo in alcuni casi anche fisico.

 

Lo scorso mese di maggio la Marcia mondiale delle donne (MMD) ha attraversato la Svizzera, facendo tappa anche in Ticino. Diverse organizzazioni vi hanno aderito ritenendola uno strumento valido e necessario per raggiungere in tutti gli ambiti, sia pubblici che privati, una reale parità ed equità tra uomini e donne. Fra i promotori di questa iniziativa vi è il Gruppo donne di Amnesty International della Svizzera italiana (DAISI) che motiva così la sua adesione alla Marcia: «In sintesi sono due i principi che ci hanno spinte a partecipare, il primo consiste nel voler rendere concreta la solidarietà verso quelle donne che quotidianamente sono private della propria libertà, mentre il secondo si spiega alla luce delle cifre che a tutt’oggi mostrano una palpabile disparità tra uomo e donna, sul piano economico, politico e sociale. I risultati delle ultime elezioni cantonali parlano chiaro, così come le continue disparità salariali e il non trascurabile tasso di violenza domestica». Vanessa Ghielmetti, una tra le fondatrici di DAISI, è convinta che un’azione di questo genere sia di estrema attualità anche sul territorio ticinese e non solo a livello internazionale. Anche qui, al centro della cosiddetta Europa dei diritti, rimane infatti ancora molta strada da percorrere. Un modo per farlo è sicuramente quello di avanzare proposte e gesti concreti e non solo rivendicazioni: «Non si tratta unicamente di un movimento di protesta – continua Vanessa Ghielmetti – ma anche di proposta. Per esempio, per dare delle risposte concrete a come uscire dalla povertà è stata fondamentale l’alleanza con le Botteghe del mondo, che attraverso il commercio equo e solidale promuovono la partecipazione femminile. Per sostenere le donne iraniane, discriminate dalle politiche di natalità che limitano la loro autonomia, abbiamo aderito alla petizione di Amnesty. E per contrastare le violazioni dei diritti umani in ambito lavorativo abbiamo abbracciato l’iniziativa per multinazionali responsabili». Sì, perché oltre che di una questione di genere stiamo parlando di responsabilità e di rispetto dei diritti universali, ancora oggi negati a un gran numero di persone. Della stessa idea è pure Ximena Calanchina, che da qualche anno lavora al fianco di Vanessa e ha aderito alla marcia sin dai suoi esordi: «In Guatemala lottavamo per la pace e contro la militarizzazione, mentre ora che mi trovo in Svizzera mi rendo conto di quanto sia importante rendere consapevoli le persone a proposito delle enormi responsabilità che hanno i Paesi produttori di armi. In fin dei conti il diritto alla vita e a un mondo in pace non dovrebbero mai venire meno».

La rete costituitasi attorno alla Marcia offre dunque la possibilità di trovare soluzioni trasversali e di sviluppare strategie comuni a livello globale. Funge da cerniera tra le differenti realtà di donne appartenenti ai cinque continenti. «La marcia è in primo luogo il movimento di tutte quelle donne che si oppongono a questo sistema patriarcale e razzista, che genera povertà e violenza, soprattutto nei loro confronti. Raggruppa contadine, indigene, cittadine, nere, bianche, studentesse, sindacaliste, femministe, lesbiche, donne appartenenti al movimento per la casa, donne legate alla teologia della liberazione, donne organizzate nei partiti della sinistra, insomma è veramente un movimento ampio».

* Paola Delcò è giornalista freelance.

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