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Giornalismo ticinese, l'acqua è alla gola

In occasione della sessione del Gran Consiglio, syndicom e ATG hanno sensibilizzato i politici sul tema della crisi dei media, a tre anni dall'atto parlamentare con il quale si chiedeva che venisse avviato anche in Ticino un piano di aiuti ai media locali, sull’esempio del Canton Vaud.

Calo drastico delle entrate pubblicitarie, aumento dei costi delle materie prime, nuove abitudini del pubblico e una rivoluzione digitale alle porte. Da alcuni anni, il settore dei media lotta da solo contro una crisi devastante: chiusura del Giornale del Popolo prima, poi del Caffè e di Ticino Management, licenziamenti alla RSI e al Corriere del Ticino. Altre testate giornalistiche sono ancora attive, tra mille difficoltà economiche e importanti tagli. In Ticino (così come nella Svizzera tedesca), giornalisti e operatori dei media sono senza contratto collettivo da quasi 20 anni. La professione è sempre meno remunerata e ambita: anzi, «ogni settimana lasciano il mestiere due giornalisti», ha riportato Roberto Porta, presidente dell'Associazione Ticinese dei Giornalisti, che ha organizzato con syndicom un'azione di sensibilizzazione poco prima della sessione del Gran Consiglio a Bellinzona.
Dopo la bocciatura della votazione per il pacchetto di aiuto ai media, nel 2020 era stato presentato un atto parlamentare (firmato da tutti i partiti, tranne l’UDC) che chiedeva misure di sostegno ai media locali. «Da allora sono trascorsi tre anni - ha ricordato Rocco Bianchi, presidente comitato Press di syndicom - è tempo di agire, sul modello del canton Vaud. Per questo sollecitiamo i membri del Gran Consiglio a varare il più velocemente possibile un pacchetto locale di aiuti ai media del canton Ticino. Non c’è più tempo da perdere. Anche perché, se la stampa è debole, lo è anche la democrazia».

 

 

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