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Idea nobile ma problematica

Il 5 giugno 2016 voteremo sull’iniziativa per un reddito di base incondizionato (RBI). Tra le altre cose, l’iniziativa vorrebbe liberare gran parte della popolazione dalle costrizioni economiche. Il concetto suona simpatico, non c’è che dire. Tuttavia un’analisi approfondita dell’RBI dal punto di vista sindacale dà esito negativo.

Attualmente i contributi delle assicurazioni sociali vengono computati in Sviz-zera e all’estero se qualcuno entra o esce dal Paese. Nel reddito di base c’è il rischio d’isolamento. Pagare un reddito minimo a tutti coloro che entrano in Svizzera farebbe letteralmente scoppiare le nostre finanze. E questo condurrebbe a limitazioni verso i/le migranti. E in base all’iniziativa chi emigra non riceve nessun reddito di base, anche se negli anni trascorsi in Svizzera ha sempre versato i suoi contributi.

L’RBI si basa sull’idea di assicurare un minimo esistenziale. Ma questo costituisce un regresso. Le odierne assicurazioni sociali garantiscono diritti che oltrepassano la richiesta di un minimo esistenziale. Con l’RBI le assicurazioni sociali potrebbero addirittura finire sotto pressione. Alcuni sostenitori dell’RBI vogliono abolire tutte le altre prestazioni sociali statali. Nel caso peggiore, una vedova di 70 anni si troverebbe a dover cercare un lavoro per sbarcare il lunario perché non riceve più le prestazioni complementari.

L’iniziativa non regola l’ammontare del-
l’RBI. I fautori propongono 2’500 franchi per gli adulti. Ma anche così si aiuterebbero davvero pochi, in quanto ne servirebbero almeno 4’000 per arrivare a fine mese in maniera più o meno dignitosa. Anche il finanziamento è poco chiaro. Dare a tutti 2’500 franchi costa oltre 200 miliardi di franchi all’anno – soprattutto a carico di chi percepisce un salario. Un finanziamento attraverso l’imposta sul valore aggiunto porterebbe il tasso a oltre il 50 per cento. Un’altra proposta vuole che i primi 2’500 franchi di stipendio confluiscano in una cassa centrale. Insieme all’AVS, imposte etc. questo produrrebbe un’aliquota del 50% e oltre per chi li guadagna normalmente. Molti cercherebbero di “fregare” il sistema lavorando in nero. Questo porrebbe a rischio tutte le assicurazioni sociali, incluse AVS e AD.

Siccome il reddito minimo di 2’500 franchi al mese non basta per vivere, quasi tutte le persone attive avrebbero comunque bisogno di un impiego anche in futuro. Se vengono smantellate le pensioni e le prestazioni complementari dovranno ridiventare attivi anche i/le pensionati/e AVS. Questo condurrebbe a una pressione sui salari. Infatti a causa della concorrenza tra chi cerca lavoro, la differenza tra il minimo vitale e il reddito di base sarebbe retribuita peggio.

I sindacati s’impegnano a favore di buoni salari, di un basso tasso di disoccupazione, di una vera sicurezza sociale e della ridistribuzione dall’alto verso il basso. Purtroppo questi obiettivi non vengono raggiunti attraverso l’RBI. Anzi, sussiste il pericolo che i redditi medio-bassi diminuiscano. Ecco perché l’USS punta sui salari minimi e sulle assicurazioni sociali con buone prestazioni e un equo finanziamento. Motivo per cui l’USS ha depositato l’iniziativa AVSplus per ottenere un aumento delle pensioni AVS.

Daniel Lampart, capoeconomista USS

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