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Il difficile ingresso nel mondo del lavoro

Nelle discussioni se abbia senso l’espressione “generazione dei praticanti” si continua a prendere in considerazione solo gli studenti. Nella maggior parte dei casi ci si dimentica che il praticantato riguarda sempre più anche coloro che hanno terminato gli studi. In entrambi i casi non è prevista una regolamentazione statale in materia di praticantato, e ciò crea notevoli svantaggi per i giovani coinvolti. 

 

«Il 40,4% di coloro che hanno conseguito una laurea triennale, il 36,6% di chi ha ottenuto una laurea magistrale e il 32,6% di chi ha ultimato un dottorato in una scuola universitaria hanno dichiarato di essersi trovati in difficoltà nella ricerca di un posto di lavoro idoneo». La ragione principale di tali difficoltà risiede nell’essere sprovvisti di un’esperienza professionale. Queste cifre sono contenute nello studio pubblicato nel 2011 dall’Ufficio federale di statistica (UFS) Dalla scuola universitaria alla vita lavorativa. Si va direttamente al cuore di un tema che da anni è oggetto di discussione sotto il nome di “generazione dei praticanti”.

Questi giovani hanno difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, ma ottengono senza problemi dei periodi di praticantato. Più del 13% di chi ha terminato l’università sta ancora svolgendo un praticantato dopo un anno dal termine degli studi. Per gli studenti in giurisprudenza ciò costituisce parte dei loro studi, mentre nei restanti casi dovrebbe essere la “mancanza di un’esperienza professionale” a spingere gli studenti a optare per questa soluzione. Per quanto riguarda gli studenti delle scuole professionali superiori, questo fenomeno è meno esteso, e solo il 3% di essi sta ancora effettuando un praticantato un anno dopo la conclusione del percorso di studi.

Se l’espressione “generazione dei praticanti” abbia un senso è perlomeno controverso. Nel 2007 l’UFS rilevò: «L’evoluzione del tasso di praticanti delle scuole universitarie a un anno dalla conclusione degli studi non suggerisce alcuna tendenza per gli ultimi quindici anni». Nel 2005 il tasso di praticanti delle scuole universitarie, a un anno dalla conclusione della loro formazione universitaria, si attestava al 15%. Oggi è pari al 13%. Quindi, almeno per le quantità di praticanti rappresentati da studenti con una formazione universitaria, non emerge nulla di nuovo. Però nello studio non si dice nulla sulla frequenza e il susseguirsi dei praticantati.

Tuttavia è chiaro che le donne effettuano più praticantati degli uomini, e talvolta la cifra è anche doppia. A questo proposito il praticantato rappresenta una particolare forma di sfruttamento della donna, con condizioni salariali e di lavoro pessime nella maggior parte dei casi.

I lavoratori dei quali non si parla

Mentre la situazione degli studenti è oggetto di ricerche, si tace ampiamente su un altro fenomeno. L’esponente dell’SSP/VPOD Felix Birchler ha descritto così questa situazione nel suo saggio Von Praktikum zu Praktikum (Dal praticantato al praticantato): «Lontano dall’attenzione dei media, la “generazione dei praticanti” si è estesa anche nel settore caratterizzato da bassi salari. Negli ambiti professionali come la vendita o i centri di logistica si registra un boom di posti di lavoro sotto forma di praticantati. Spesso soppiantano i posti di apprendistato offerti finora, venendo considerati come una loro alternativa». Nel nostro caso a essere interessati da questo fenomeno sono i giovani che hanno terminato la scuola universitaria di comunicazione visiva.

Il fatto che di questa situazione si parli raramente è da ricondursi anche alla mancanza di dati disponibili. Ad esempio, il numero dei posti di lavoro occupati da praticantati, che potrebbe gettare luce sull’effettiva estensione del fenomeno, non viene affatto rilevato. A una precisa domanda in tal senso di syndicom - il giornale, il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) ha risposto: «Purtroppo il DEFR non dispone di queste cifre». Anche l’UFS non è a conoscenza del numero di questi posti di lavoro: «Sfortunatamente non disponiamo delle informazioni richieste».

A ciò si aggiunga il fatto che, al di fuori dell’SSP/VPOD, da parte dei sindacati ancora non ci si occupa sistematicamente della particolare condizione di lavoro dei praticanti. Così l’USS, che di solito è una vera e propria fonte di informazioni, non dispone di studi propri su questo tema. In questo senso l’Unione sindacale tedesca è più avanti. Tutto ciò determina il fatto che la situazione di chi ha terminato la scuola – come ad esempio Nadine Swan (vedi qui accanto) – venga a malapena citata quando si parla di “generazione dei praticanti”.

Assenza totale di regolamentazione

Su una cosa però concordano tutti: la carenza legislativa svizzera in materia. Per quanto riguarda i praticantati c’è una scarsa regolamentazione, e le poche regole esistenti non sono vincolanti. Così, a livello legislativo non viene definito quale lavoro si possa pretendere da una praticante e quale no.

Lo Stato deve rimanere ampiamente al di fuori di questo campo, dove vige la libertà contrattuale. Nel caso degli studenti e delle studentesse a cui vengono assegnati dei praticantati, l’imprenditore ha la libertà unilaterale di imporre anche i salari e le condizioni peggiori. Così si deve addirittura lottare per le condizioni minime: «Anche i praticantati devono essere retribuiti!», ha chiesto Thomas Zimmermann dell’USS nel novembre 2013, dopo che è emerso che alcune ONG indirizzano i propri praticanti direttamente agli Uffici regionali di collocamento.

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