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La pluralità a tutela della democrazia

Non c’è pace per la SSR, e ancor meno per la RSI. Il no dello scorso 14 giugno, il calo di ascolti, i risparmi, la spartizione delle spoglie. Ne abbiamo parlato con Milena Folletti, direttrice supplente RSI.

 

Partiamo dalla votazione dello scorso 14 giugno. Il Ticino ha detto “no” al nuovo modello di finanziamento del Servizio pubblico, nonostante possa beneficiare ampiamente del sistema federalista di distribuzione delle risorse. Quali sono le prime conseguenze?

Per la RSI, in particolare, la prima conseguenza è la necessità di capire il motivo di questo voto.

C’è chi ha parlato di stanchezza e disaffezione del Paese verso la RSI.

Ci sono state molte opinioni espresse, che sono tutte legittime in quanto opinioni, ma che opinioni restano. Il sondaggio Vox, lanciato subito dopo il voto, ha detto chiaramente che i programmi SSR sono molto apprezzati dal pubblico. E quindi da lì si deduce che non è stato, come invece molti hanno scritto, un voto contro la SSR o la RSI, ma un voto contro una nuova imposta.

Vox era un sondaggio nazionale.

Sì. Ma proprio perché vogliamo andare a fondo della questione, abbiamo commissionato un’altra analisi all’Università di Losanna, che approfondisce ulteriormente l’esito del voto nella Svizzera italiana.

La RSI, a livello di ascolti, sta vivendo una fase di lieve recessione. Perché secondo te?

Il perché del calo di ascolti di La2 è presto detto: questo è un anno non sportivo. Al calo negli indici di La1 si può tentare di dare una spiegazione analizzando i dati. Nella Svizzera italiana, se confrontiamo il primo semestre 2014 con il primo semestre 2015, vediamo che ci sono 7 canali in più di lingua italiana messi gratuitamente dai vari distributori nei vari decoder. Il risultato ,è che di fronte a un’offerta che si amplia, dallo scorso 6 ottobre ulteriormente, la frammentazione aumenta.

Dunque, al netto di La2, il motivo del calo di ascolti in tv è riconducibile alla sola abbondanza dell’offerta e all’inevitabile frammentazione della platea?

No. Questa è un’analisi esterna di mercato. Poi facciamo anche un’analisi interna. Quest’ultima ci ha fatto dire, già quando stavamo andando bene, che era necessario cambiare. I prodotti hanno dei cicli di vita, più o meno prevedibili. Per questa ragione avevamo già iniziato da tempo a mettere in cantiere dei piloti di nuovi programmi.

Rinnovarsi attraverso format e conduttori nuovi per tornare a vincere?

Non la metterei esattamente in questi termini. Poche settimane fa è partito Pausa pranzo a mezzogiorno, in sostituzione di Molla l’osso. Per tutto il mese di dicembre ci sarà una fiction quotidiana di 8 minuti, al posto de Il Rompiscatole. Poi, da marzo, Black Jack sparirà per dare spazio a un nuovo format: un gioco sui viaggi. Abbiamo cominciato a muovere le cose e continueremo a farlo. Dopodiché muovere non significa muovere per forza per avere successo, perché altrimenti vai sul consolidato, ti precludi la possibilità di innovare. Siccome noi siamo un servizio pubblico, cerchiamo di fare scelte un po’ sperimentali, anche per dare la possibilità a persone nuove di crescere e provarsi in nuove situazioni.

La SSR deve affrontare una carenza di 40 milioni di franchi, dovuta alla decisione del Tribunale federale sull’IVA e all’aumento della quota del canone destinata ai network privati. La RSI perde così 6 milioni circa l’anno per i prossimi 5 anni. Come stai reagendo nella tua posizione apicale?

Intanto con un forte senso di responsabilità. Questi sono i momenti in cui il peso del ruolo si sente, così come si sente la necessità di trovare soluzioni. La reazione è una reazione di consapevolezza di quello che significa dover apportare un taglio di questo tipo e già prefigurarsi come può essere l’avvenire, immaginando i problemi che arriveranno, ma dicendosi anche che il mondo dei media è un mondo in mutazione per tutti. Quello che è chiaro è che l’azienda ha un futuro davanti e non si ferma. Il quadro che ci si prospetta offre anche opportunità. E queste vanno sfruttate.

Si dovrà tuttavia razionalizzare. Il piano di risparmio, ancora provvisorio, toccherebbe 49 posti di lavoro alla RSI nel corso dei prossimi anni. Potrebbe essere la volta buona per battersi per talento e merito contro le rendite di posizione dei peggiori.

Intanto ricordo che siamo un’azienda che ha una responsabilità sociale. E poi mi chiedo quale sia l’azienda che ha solo grandi talenti. Quello in cui viviamo è un territorio di dimensioni ridotte, che non ti permette di assumere solo talenti. Il talento, in realtà, si plasma e la professionalità si costruisce. Dopodiché scinderei le cose. Non è che i tagli che ora sono stati prospettati ci inducono a fare una selezione. La selezione dev’essere fatta anche in un iter normale. Se una persona non funziona e non svolge bene il suo lavoro, non dobbiamo aspettare i tagli per prendere dei provvedimenti. Questa è semmai un’occasione per riqualificare il personale e rivedere certi processi di produzione.

In una precedente intervista ti abbiamo chiesto se la parte del canone destinata alle emittenti locali e regionali non andasse a scapito della SSR. La tua risposta: «No. Per me, tutto quello che agevola il pluralismo, e quindi più attori nel mondo dei media, è benvenuto». Vista la piega presa dagli eventi, sei ancora dello stesso parere?

Sì. Ripeto: per me quello che crea pluralità di opinioni è un salvacondotto per la democrazia. Pensiamo a un mondo in cui le contingenze finanziarie facessero chiudere i piccoli editori. Cosa succederebbe? I grandi gruppi, non necessariamente svizzeri, comprerebbero i piccoli e avrebbero in mano le leve dell’informazione. E questo sarebbe deleterio per un sistema democratico, tanto più delle nostre dimensioni. In questo senso dico che lo sforzo che la SSR fa a favore del pluralismo, io lo vedo ancora oggi come positivo. Dopodiché è vero che con questo la SSR si priva di una parte dei mezzi e la partita starà nel giocarsi al meglio i mezzi che restano.

Passiamo all’organo di vigilanza sull’offerta RSI. Ti sei stupita quando hai appreso della fuoriuscita della Lega dalla CORSI?

No. Era già da tempo che i leghisti la preannunciavano. Più che stupita, sono dispiaciuta. Perché anche lì, più è rappresentato il Paese, meglio è.

Alla testa della CORSI ci sono solo politici, di (quasi) tutti i partiti, con quote maggiori o minori. Credi che questo fenomeno triste e umiliante che si chiama spartizione delle spoglie possa giovare all’immagine di una RSI che si dice indipendente e libera?

Ma io qui farei un distinguo. Se guardo alla formula della CORSI e alla composizione degli organi istituzionali europei, Commissione di Vigilanza RAI compresa, trovo che quella attuata in Svizzera sia una buona formula. Perché, appunto, rappresenta il Paese e ha processi decisionali snelli. Poi è chiaro che la formula è vincente se ognuno svolge al meglio il proprio ruolo all’interno delle proprie competenze. La CORSI non ha una competenza diretta sui programmi: è un ponte con il Paese e di verifica dei processi qualitativi. Non c’è alcuna ingerenza da parte sua, ma rispetto per l’autonomia dell’azienda.

Va bene. Ma le consorelle SSR sono estranee alla spartizione delle spoglie. L’unico condominio consociativo rimasto, residuo di mai appagati appetiti politici, è la CORSI. Spiegaci tu il perché.

Eh eh. È una questione di grandezza del territorio. Qui si parla di Svizzera italiana, quindi Ticino più Grigioni italiano. Le consorelle, invece, coprono quanti cantoni? Alla fine noi siamo 350 mila. Sono convinta che se fossimo più grandi funzioneremmo esattamente come la Svizzera francese e quella tedesca. Più si è grandi, più aumenta il numero di persone e profili, anche indipendenti, che possono ambire a quelle cariche.

* Antonella Rainoldi è giornalista e critica televisiva.

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