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La tecnologia Uber è contro i lavoratori?

I termini «uberizzare» e «uberizzazione» non sono ancora en-
trati nel dizionario, ma da inizio anno figurano nella versione francese di Wikipedia (mancano invece ancora nella versione tedesca e italiana). Secondo l’enciclopedia libera il neologismo uberizzazione, da dove traspare il nome della società californiana Uber, denomina un modello aziendale attraverso cui i clienti dallo smartphone possono accedere a delle risorse in ogni momento e in modo immediato. Il fenomeno è iniziato con il mercato delle occasioni e a oggi copre sempre più prodotti e soprattutto servizi: dalle bici elettriche o macchine che si condividono, al proprio appartamento che si può subaffittare sulla piattaforma di successo Airbnb.

Ai consumatori questo sistema porta sicuramente dei vantaggi, ma come la mettiamo con i lavoratori? Dietro l’economia della condivisione ci sono dei lavoratori su richiesta disponibili attraverso una piattaforma digitale. Il sistema Uber è semplice: nel caso dei tassisti francesi per es. non ci sono dipendenti, ma solo degli assoggettati, da comandare con un fischio e che eseguono la corsa a un prezzo forfettario, senza diritti, senza stipendio, senza orari di lavoro regolati, senza dignità e senza libertà. È tramontato il diritto del lavoro, non c’è più nessun contratto collettivo di lavoro, più niente di niente. Ecco il breve riassunto dell’ispettore del lavoro francese Gérard Filoche. Poi aggiunge che i contributi sociali, automobile, assicurazioni e incidenti sono a carico dei conducenti. Questi lavoratori su richiesta sono impiegati, microasssociati, lavoratori indipendenti? A seconda della risposta la relazione con Uber cambia. Alcuni autisti californiani hanno lanciato una «class action» contro Uber per vedersi riconoscere lo statuto di salariati. Ma Uber dispone di un esercito di avvocati.

La tecnologia corre più veloce dello stato giuridico ancora incerto davanti a questi stravolgimenti. Ne abbiamo parlato con Martin Scheidegger, avvocato e responsabile del servizio giuridico di syndicom.

Martin Scheidegger, davvero il modello dell’uberizzazione del mondo del lavoro è così attuale?

Questo modello è sicuramente attuale e fondamentalmente offre anche uno spunto interessante nello sfruttare sinergie e nel risparmiare risorse. Tuttavia il modello non può essere a scapito dei lavoratori. Il mondo del lavoro cambia a causa dello sviluppo digitale, e a seconda del settore questa evoluzione è più o meno veloce. Il più soggetto a questi sviluppi è il settore del terziario. Esistono già i primi cloni Uber nel mondo dei corrieri. La conseguenza di questa evoluzione è che cam-
biano i modelli classici: l’uberizzazione trasforma i dipendenti in imprenditori. O almeno ce lo vogliono far credere.

Bisogna aver paura?

Proprio paura no, ma essere prudenti sì. È difficile fare una valutazione sulle conseguenze dell’uberizzazione sull’economia e soprattutto sul mondo del lavoro. Sussiste il pericolo che il lavoratore uberizzato in qualità di quasi-imprenditore perda la tutela delle disposizioni del diritto del lavoro. Invece i lavoratori proprio a causa del rapporto di dipendenza verso Uber o aziende simili hanno urgente bisogno di questa protezione. Questi collaboratori fondamentalmente necessitano della stessa tutela dei lavoratori normali e Uber deve corrispondere le detrazioni sociali fissate dalla legge. Davanti a questo scenario è importante che il legislatore vigili sugli sviluppi di questo fenomeno e che adegui le leggi in vigore alle nuove condizioni ove necessario.

In che modo sono cambiati questi rapporti?

Il diritto del lavoro origina-
riamente parte dal concetto di un’impresa con mezzi e ambienti produttivi propri, dove i lavo-
ratori si recano a lavorare a degli orari prestabiliti e per cui a fine mese percepiscono uno stipendio definito. Oggi questo concetto traballa sempre di più, basti pensare per esempio al telelavoro, all’home office, ai modelli variabili di orario di lavoro, al lavoro a chiamata e attività simili. L’uberizzazione è un ulteriore passo in questa direzione. Il diritto del lavoro si è adeguato in larga misura a questi cam-
biamenti, con la giurisprudenza e la legislazione, ma riguardo a questi sviluppi arranca sempre un po’.

Che status hanno i lavoratori uberizzati?

È proprio qui che casca l’asino: infatti sorge la domanda se questi lavoratori possono essere assoggettati a un contratto definito dalla legge oppure se qui siamo davanti a contratti di un nuovo tipo. Questa attribuzione ha delle conseguenze da non sottovalutare: il fatto che un collaboratore sia p.e. assoggettato a un certo tipo di contratto o rapporto di lavoro determina anche se egli in caso di inabilità al lavoro per malattia continua a ricevere lo stipendio o meno. Nel dubbio decide il tribunale. Ma per tornare alla Sua domanda: lo status di questi lavoratori non è ancora stato chiarito e questo nasconde una notevole incertezza del diritto per il singolo. Tendenzialmente qualificherei questi rapporti contrattuali come un falso lavoro a chiamata – dunque come un rapporto di lavoro.

Non c’è da temere che la posizione di questi lavoratori peggiori?

È compito del legislatore e dei tribunali contrastare questa tendenza. I collaboratori in que-
stione possono anche adire i tribunali e scaturire delle sentenze di guida facendosi sostenere dai sindacati e dai loro avvocati. Inoltre questa evoluzione può essere bloccata anche mediante i contratti collettivi di lavoro, soprattutto attraverso quelli dichiarati di obbligatorietà generale. In prima linea bisogna puntare alla tutela di questi lavoratori: Uber e aziende simili devono essere obbligate ad assumersi la propria responsabilità se non lo fanno spontaneamente.

* Audrey Sommer è giornalista freelance.

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