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Nuove tecnologie: un caro prezzo pagato soprattutto a livello umano

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Ci dicono che è in atto la rivoluzione digitale. Macchine senza conducenti, Big data, smartphone, smart cities, disruption, cloud computing, uberizzazione, effetti 3D, cyber attacchi, oggetti connessi ecc. Un vocabolario tutto nuovo e spesso anglofono testimonia uno sconvolgimento dei tempi moderni. Il capitalismo persegue il suo mutamento 4.0 e reinventa la ruota dell’innovazione per mantenere i suoi tassi di profitto. Un nuovo immaginario tecnico vuole renderci ineluttabile questo futuro interconnesso dove il nuovo Eldorado è il giacimento infinito dei Big Data. Ovvero di noi stessi. I nostri dati spesso molto personali, i nostri gusti, le nostre voglie, i nostri sogni. A colpi di algoritmi e di auto-schedature, le aziende (e gli Stati) vogliono sapere tutto di noi per vendere meglio questi dati ad altri marchi. La logica delle nuove tecnologie non è di offrirci più libertà, ma soprattutto di migliorare la performance e l’efficacia dello sfruttamento delle informazioni sulle nostre vite. «Stiamo solo cominciando a grattare in superficie» ha dichiarato Sundar Pichai, il nuovo direttore di Google (Le Temps, 24.10.15) considerando soltanto un inizio il fatto che un miliardo di persone ricorra a sei dei suoi prodotti.

Al di là dell’impatto di questi stravolgimenti delle nostre vite private, si pone anche la domanda del potenziale di creazione o di distruzione dei posti di lavoro legati a questa digitalizzazione del mondo. Per gli ottimisti, grazie ad una distruzione creatrice, alla fine tutto il progresso tecnologico si trasformerà in un saldo positivo a livello di impieghi. La transizione sarà dolorosa ma benefica.

Secondo altri, come per gli economisti del MIT Erik Brynjolfsonn e Andrew McAffee nella “Corsa contro le macchine” apparso nel 2011, l’automatizzazione minaccia un gran numero di posti di lavoro, e non i meno qualificati. Diverse ricerche dimostrano che i mestieri nel digitale non sono al box-office dei settori maggiormente creatori di impieghi per i prossimi anni. I posti che saranno più colpiti in termini di distruzione e disoccupazione di massa sono quelli di qualifica media. Impossibile prevedere quello che sarà il mondo tra 10 anni.

Il ruolo del sindacato, in questa trasformazione, è difendere al meglio i nostri iscritti. Le aziende dove siamo attivi, come Swisscom – come lo dimostra il nostro dossier – ma anche La Posta, Ringier o Tamedia, si trasformano sempre di più in giganti dell’internet su scala svizzera. Talvolta queste aziende collaborano insieme, altre volte si scontrano. Questa convergenza tecnologica syndicom l’ha anticipata attraverso la convergenza sindacale legata alla sua fusione. Il fatto che syndicom conosca da molto tempo questi attori e che sia ben inserita in questo ambiente rappresenta una chance quando si tratterà di negoziare questa svolta digitale. Attraverso la formazione di base e continua e il perfezionamento permanente, i nostri membri possono sperare di trovare un impiego nei nuovi mestieri e non essere semplicemente scaricati quando il loro mestiere morirà. Il partenariato sociale e i negoziati attorno ai CCL sono l’occasione per syndicom di ricordare alle imprese che esse hanno accumulato dei miliardi grazie ai guadagni di produttività e all’impegno dei loro dipendenti negli ultimi quindici anni e che dunque ora va fatto uno sforzo finanziario importante per affiancare questi cambiamenti senza scaricare nessuno ai bordi della strada. Sta a noi trovare delle soluzioni intelligenti, in particolare per gli over 55, affinché non predomini la pura logica contabile e finanziaria. Questo richiede un sindacato battagliero la cui forza risiede in una larga base mobilitata. Dunque il futuro è anche nelle nostre mani e non si gioca soltanto in delle oscure start-up della Silicon Valley.

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