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Quella SSR sul banco degli imputati

La politica dei media sembra essere il tema caldo di queste ultime settimane. In molti vorrebbero poter rivedere il mandato della Società svizzera di radiotelevisione, buona parte per ridimensionarlo. In particolare il polo degli editori della stampa scritta vede di cattivo occhio l’espansione della SSR su internet. C’è persino chi rimette in discussione l’articolo costituzionale. Chiamato in causa dai tanti attacchi, il direttore generale Roger de Weck, in carica dal 2011, spiega in questa intervista perché, così come si configura, la SSR risponde al mandato di servizio pubblico.

 

antonella rainoldi: La riflessione sul Servizio pubblico prosegue inesausta. E ogni giorno è contraddistinto da interrogativi stringenti. Uno è questo: quali sono le prestazioni di stretta competenza del Servizio pubblico?

roger de weck: «Quello che è decisivo è la giusta miscela. Un buon programma televisivo o radiofonico, così come un buon giornale, ha la sua composizione. La composizione delle reti di Servizio pubblico è totalmente diversa da quella dei canali commerciali. In un canale commerciale non ci sarà mai un magazine culturale, un magazine scientifico, un magazine economico, un film documentario durante il prime time».

La giusta miscela comprende anche l’intrattenimento. Secondo lei l’intrattenimento rientra nei canoni del Servizio pubblico?

«Sì. Non è un caso che quelli che hanno scritto la Costituzione svizzera abbiano previsto che il mandato comprenda, oltre che l’informazione, la formazione e la cultura, anche il divertimento. Non ci sono al mondo canali generalisti che potrebbero permettersi di rinunciare all’intrattenimento e alla parte di pubblico più consistente. Un Servizio pubblico che non raggiunge il grande pubblico non è un Servizio pubblico. Noi siamo un Servizio pubblico, un servizio al pubblico, un servizio al grande pubblico».

Audio, video e anche testo. La SSR è accusata spesso di essersi troppo espansa fuori dal proprio guscio sul web.

«È un’accusa infondata. La ragion d’essere della SSR è di fare della produzione audiovisiva. Ma viviamo nell’era digitale. E noi dobbiamo essere lì dov’è il nostro pubblico. Con Internet per la prima volta nella storia mondiale disponiamo di una piattaforma per le immagini, per il suono e per il testo. La SSR resta fedele alla sua missione, e per mettere in valore l’audiovisivo si avvale di un po’ di testo».

Il problema è l’estraneità del testo alla trasmissione televisiva o radiofonica.

«La concessione ci invita a non superare i mille caratteri, per gli articoli estranei a una trasmissione televisiva o radiofonica, ma in compenso ci permette di approfondire contenuti che hanno un legame diretto, temporale e tematico, con le trasmissioni proposte».

Altra accusa: il Servizio pubblico gode di troppe entrate finanziarie. C’è perfino chi lo vorrebbe totalmente slegato dalla pubblicità, come succede in altri Paesi europei.

«Prendiamo il sistema in Germania. La Germania, con ottanta milioni di persone e programmi in una sola lingua, il tedesco, non ha bisogno di pubblicità. I canali tv terminano di mandare in onda gli spot alle 20. Le entrate pubblicitarie rappresentano il 5 per cento del budget di ARD e di ZDF. In un Paese come la Svizzera, con appena otto milioni di abitanti e programmi in quattro lingue, il canone dovrebbe essere troppo alto per poter finanziare la totalità della produzione. La pubblicità finanzia il 25 per cento dei nostri programmi. Grazie ad essa il canone è più contenuto».

A proposito di canone. Qual è la logica della revisione della Legge federale sulla radiotelevisione (LRTV), su cui il popolo svizzero si pronuncerà il 14 giugno?

«Si tratta di una votazione sul modello di finanziamento del Servizio pubblico e non sul Servizio pubblico stesso. Ciò detto, abbiamo oggi un canone legato al possesso di un apparecchio di ricezione. Sempre più persone però seguono i nostri programmi sugli smartphone, sui tablet, sui computer, ovunque e in qualsiasi momento. Nell’era digitale praticamente ogni economia domestica possiede un mezzo per accedere alla radio e alla tv. Per questo il Consiglio federale e il Parlamento hanno deciso di sostituire l’attuale canone di ricezione con un canone generalizzato. I vantaggi saranno consistenti».

Qualche esempio?

«La Billag riceverà meno denaro. Non ci saranno più ispettori. Avremo una soluzione più semplice e meno burocratica, più liberale e più fair, perché tutti dovranno pagare. E soprattutto il canone si abbasserà da 462 a circa 400 franchi l’anno per le economie domestiche, fino ad azzerarsi per il 75 per cento delle imprese. Aggiungo che saranno esentate le persone che ricevono prestazioni complementari AVS/AI e quelle che soggiornano in una casa per anziani. Chi ha una residenza secondaria non dovrà più pagare due volte. E chi non ha alcun apparecchio di ricezione potrà chiedere l’esenzione per cinque anni. Non bisogna poi dimenticare che il nuovo canone non concerne solo la SSR, ma anche trentaquattro canali locali o regionali privati, che con la nuova legge potranno godere di un miglior finanziamento».

Se così stanno le cose, perché l’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM), che rappresenta le piccole e medie imprese, ha promosso un referendum contro la revisione della LRTV?

«Personalmente sono sorpreso, perché la maggior parte delle imprese stesse approfitteranno del nuovo sistema. L’offerta della SSR è utilizzata sempre di più nelle imprese, non solo nei veicoli di consegna o d’affari. Da quando è possibile la fruizione online, si può accedere alle informazioni di cui si ha bisogno in ogni momento. E nella vita di un’impresa ciò può essere utile. Questa è la ragione per la quale le grandi associazioni come Gastrosuisse, come Economiesuisse, come l’Unione Svizzera degli Agricoltori sostengono la nuova legge e non condividono per nulla l’opinione dell’USAM».

Del Servizio pubblico si sta occupando anche la Commissione federale dei media (COFEM). Che cosa si aspetta da questa commissione?

«La commissione esamina approfonditamente la piazza mediatica svizzera e il ruolo del Servizio pubblico. Noi abbiamo bisogno di una politica mediatica che sia fondata. Spesso l’opinione pubblica discute di politica mediatica senza molta conoscenza in materia, e penso che questa commissione saprà portare un know-how, una perizia e una profondità d’analisi che favoriranno un dibattito di qualità».

* Antonella Rainoldi è giornalista RP e si occupa di critica televisiva.

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