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Sentenza nel processo contro Klaus Ròzsa: Assoluzione parziale dopo un’assurda giornata di processo

Il tutto aveva un’aria grottesca già dall’inizio: stamani all’udienza principale nel processo contro il fotogiornalista Klaus Ròzsa sono arrivati rappresentanti di media, sindacalisti/e e amici dell’accusato, che nonostante il tempo da cani all’inizio sono stati costretti ad aspettare all’esterno. Il giudice C. Bühler era così sorpresa di vedere apparire 10 persone interessate al processo (tra l’altro annunciato come pubblico) che ha invitato la polizia a „perquisire“ ogni singolo visitatore e ogni singola visitatrice, prima di farli/e passare sotto i metaldetector del Tribunale distrettuale di Zurigo. E dal momento che oltre a telefoni cellulari e ad una cinepresa non si sono trovate armi pericolose, alla fine il processo è stato fatto iniziare con un ritardo di tre quarti d’ora. Quattro agenti di polizia hanno presenziato l’intera udienza osservando (o sorvegliando) il pubblico presente.

Il pubblico ministero, sicuro di portare a casa una vittoria, nella sua breve requisitoria non ha rinunciato a dare qualche colpo di offesa personale all’accusato. Eppure egli stesso ha chiesto una riduzione della pena richiesta originariamente. L’avvocato difensore Regula Bähler ha ricostruito l’improbabilità dei sei punti di accusa davanti alle immagini presenti chiedendo l’assoluzione. Klaus Ròzsa, che negli ultimi quarant’anni si è –quasi inevitabilmente- specializzato sulla documentazione di soprusi della polizia durante manifestazioni, in una presa di posizione personale ha sottolineato che i numerosi processi, con esiti in ultima istanza quasi sempre a suo favore, hanno impedito a lui – come anche ad altri giornalisti che riferiscono su interventi della polizia – l’esercizio della sua professione costituendo di fatto una minaccia per la tanto elogiata libertà di stampa in Svizzera.

Dopo una camera di consiglio di ben due ore – e una nuova perquisizione e sorveglianza dei visitatori al processo – il tribunale ha emesso seguente sentenza:
non è dimostrabile che Klaus Ròzsa abbia impedito il contatto visivo tra un poliziotto dietro di lui e un altro collega poliziotto mentre li stava fotografando. Allo stesso modo le sue grida d’aiuto, mentre veniva immobilizzato dai poliziotti, premuto a terra e ammanettato, non possono essere considerate come un «invito alla violenza» – tanto più che nessuno lo ha soccorso. In questi due punti il fotogiornalista viene prosciolto dalle accuse di «violenza o minaccia contro funzionari» e «impedimento di atti dell’autorità».

Il fatto che però Klaus Ròzsa si sia allontanato dalla scena viene considerato dal tribunale come un tentativo di sottrarsi all’arresto. Ed è «possibile» che alla fine abbia reso più complicato il suo arresto facendosi cadere a peso morto, rendendolo colpevole di «renitenza ad un atto d’ufficio». Il giudice ha preso molto sul serio anche i racconti «dal vivo» dei poliziotti, secondo cui Klaus Ròzsa avrebbe sputato su una gamba di un poliziotto e avrebbe calciato talmente forte con i piedi che potrebbe aver colpito un poliziotto su una gamba. Entrambi i punti sono stati classificati dal giudice unico come «violenza e minaccia contro funzionari».


Di fronte alla lunga durata del processo e alle conseguenze personali per l’accusato, che dall’episodio è in cura per un disturbo post-traumatico, il giudice ha ridotto la pena a una multa di 50 quote giornaliere di 30 franchi, con un periodo di prova di due anni. Allo stesso tempo a Klaus Ròzsa è stata aggiudicata un’indennità processuale di Fr. 1'500.-, con una parziale imposizione delle spese legali. Le cause individuali dei due poliziotti sono state respinte.

La sentenza non è ancora passata in giudicato.
Klaus Ròzsa ha definito il periodo di sospensione come un divieto di fatto di esercitare la professione e spera di non incontrare più agenti di polizia che si sentono minacciati dalla sua presenza.

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