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Un boccone amaro, ma c’è anche del buono

Donne in pensione a 65 anni: un grave passo indietro nell’ambito della Previdenza per la vecchiaia 2020, al quale i sindacati sono costretti a rassegnarsi. Ma la proposta di compromesso del Consiglio degli Stati introduce anche dei miglioramenti. Vediamo la situazione nel dettaglio. 

 

Molte lavoratrici e molti lavoratori sono in apprensione per la loro futura rendita di vecchiaia. E i motivi abbondano. I problemi che affliggono le casse pensioni sono acuiti dai tassi ai minimi storici. Le rendite delle casse pensioni diminuiscono, mentre i contributi e l’età pensionabile prevista per legge aumentano.

Anche le rendite AVS non sono immuni da questa pressione. Da un lato faticano sempre più a tenere il passo con il costo della vita e coprono una percentuale sempre più piccola dell’ultimo salario, dall’altro di recente le uscite dell’AVS superano le entrate. Ecco perché il Consiglio federale si era detto contrario persino agli adeguamenti delle rendite all’evoluzione dei prezzi e dei salari (indice misto).

penalizzate le donne e i disoccupati più anziani

A essere particolarmente colpite da queste tendenze sono le donne. La loro situazione previdenziale è infatti peggiore di quella degli uomini, a causa delle penalizzazioni di cui sono oggetto nell’ambito delle casse pensioni. In media le rendite da cassa pensione sono inferiori del 63% a quelle corrisposte agli uomini. Il motivo va ricercato nel fatto che la maggior parte delle donne lavora a tempo parziale potendo così assicurare solo una piccola parte del proprio salario.

L’altra categoria fortemente svantaggiata è quella dei disoccupati più anziani. Chi perde il lavoro prima del pensionamento, durante la vecchiaia non ha infatti diritto alla rendita maturata presso la cassa pensione, dal momento che è costretto a prelevare il capitale. Spesso inoltre ha bisogno di quel denaro ancora prima del pensionamento. Invece di prendere queste apprensioni in seria considerazione e proporre soluzioni, i datori di lavoro e i loro complici al Consiglio nazionale (UDC, PLR, PVL) vogliono peggiorare la situazione. Il loro intento è quello di compensare la diminuzione del livello delle rendite unicamente tramite un notevole rafforzamento del secondo pilastro, di per sé già vacillante. In merito alla questione, questa fazione gode al momento della maggioranza in seno al Consiglio nazionale. A dover versare contributi molto più elevati sarebbero proprio i redditi più bassi. I datori di lavoro vogliono soprattutto innalzare l’età pensionabile a 67 anni per tutti, nonostante le difficoltà che i lavoratori più anziani incontrano sul mercato del lavoro, e abolire nell’AVS le rendite per vedove e figli.

Il compromesso del Consiglio degli Stati: un’analisi

Il Consiglio degli Stati la pensa diversamente. Anche il compromesso della Camera alta non è indolore, in particolare per le donne. L’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni è un colpo durissimo, un boccone amaro che potrà essere digerito solo se l’innalzamento dell’età pensionabile femminile sarà inserita nel quadro di un disegno di legge in cui nel complesso prevalgono gli aspetti positivi.

Ma come stanno le cose? Vediamo in dettaglio i punti cardine del compromesso del Consiglio degli Stati:

• Livello delle rendite: nonostante la drammatica riduzione dell’aliquota di conversione per le casse pensioni dal 6,8% al 6%, il livello delle rendite si stabilizzerà. Le perdite non saranno però compensate unicamente nel secondo pilastro. Per ammortizzare la diminuzione delle rendite LPP, anche le rendite AVS aumenteranno di 840 franchi all’anno per le persone sole e fino a 2’712 franchi per i coniugi. Tralasciando la compensazione del rincaro, si tratterà del primo aumento delle rendite AVS da vent’anni a questa parte. La misura ridurrà lo scompenso tra rendite e salari.

• Lacune di copertura della cassa pensioni: i lavoratori a tempo parziale godranno di una migliore tutela assicurativa. In futuro, chi guadagna di meno dovrebbe percepire una migliore rendita da cassa pensioni. Gli assicurati dovranno versare più contributi, ma anche i datori di lavoro. I vantaggi sono soprattutto per le donne. Si tratta infatti di un importante passo avanti che ridurrà il divario tra le rendite delle donne e quelle degli uomini.

• Lavoratori più anziani: per i lavoratori che all’entrata in vigore della revisione avranno superato i 50 anni di età, il livello della rendita rimarrà quello dell’aliquota di conversione al 6,8%. Ciò significa che saranno loro garantiti i cosiddetti diritti acquisiti.

• Disoccupati più anziani: i disoccupati più anziani che dopo aver perso il lavoro non riescono a ricollocarsi, sono oggi di fatto costretti a prelevare il saldo della propria cassa pensioni come liquidazione in capitale. Prima di poter usufruire dei sussidi sociali, le autorità possono costringere gli interessati a utilizzare tutto il proprio avere di vecchiaia, una prassi insensata che incentiva la povertà tra gli anziani. Il compromesso del Consiglio degli Stati obbliga le casse pensioni a continuare ad assicurare i disoccupati a partire dai 58 anni fino all’età pensionabile, anche qualora l’assicurato privo di occupazione non versi più i contributi.

• Pensionamenti parziali: molte professioni sono particolarmente usuranti. Numerosi lavoratori desiderano – e altri per ragioni di salute devono – ridurre il proprio grado di occupazione e andare gradualmente in pensione. Poiché le rendite AVS e le rendite di molte casse pensioni possono essere riscosse solamente in toto, il pensionamento parziale è un’opzione percorribile solo da quei lavoratori che dispongono di mezzi economici privati sufficienti. La revisione prevede che a partire dai 62 anni le rendite parziali di AVS e cassa pensioni possano essere combinate a un’attività lavorativa ridotta.

• Finanziamento: nei prossimi anni andranno in pensione i cosiddetti “baby boomer” e il fatto avrà delle ripercussioni temporanee sulle finanze dell’AVS. Se non entrerà più denaro i deficit aumenteranno. In altre parole, i contributi non saranno sufficienti a coprire il pagamento delle pensioni. Ecco perché l’imposta sul valore aggiunto deve essere innalzata dell’1% e confluire nell’AVS. Il rincaro direttamente avvertito dai consumatori sarà solo dello 0,7%, poiché a partire dal 2018 il finanziamento aggiuntivo dell’AI dello 0,3%, che sta andando in scadenza, sarà dirottato verso l’AVS. Il finanziamento tramite l’imposta sul valore aggiunto stabilizzerà l’AVS fino al 2030. Questa situazione di stabilità sarà un vantaggio in particolare per gli attuali pensionati, le cui rendite saranno garantite. Grazie a questo finanziamento aggiuntivo, l’abolizione dell’adeguamento automatico della rendita AVS al rincaro è scongiurata.

Un segnale a lungo termine

Il compromesso del Consiglio degli Stati presenta alcuni vantaggi per i lavoratori anche a un livello politico ed economico superiore.

1. Il finanziamento dell’AVS sarebbe garantito almeno fino all’anno 2030. Questo dato smentisce le continue maldicenze sull’AVS da parte dei partiti borghesi e della lobby delle assicurazioni.

2. Quello che di fatto è stato per decenni un tabù, ovvero la possibilità di percepire rendite AVS più elevate, cadrebbe. Questo passo in avanti aprirebbe uno spiraglio affinché nei prossimi anni possano essere adottate soluzioni avanzate.

3. L’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, un cavallo di battaglia dei detrattori dello stato sociale, sarebbe fuori discussione almeno fino al 2030.

4. Il lavoro a tempo parziale, molto diffuso tra le donne, sarebbe maggiormente assicurato. In questo modo il secondo pilastro terrebbe finalmente in debita considerazione i mutati schemi occupazionali.

5. Dal momento che nell’intero sistema pensionistico il peso dell’AVS è sempre più consistente, aumenterebbe la quota del finanziamento solidale della previdenza per la vecchiaia.

Referendum sì o no?

Nel corso dell’attuale sessione vedremo se UDC, PLR e compagnia bella hanno imparato qualcosa dai referendum sulle rendite del 2004 e del 2010. In tali occasioni il popolo ha sempre respinto con un chiaro no proposte non socialmente sostenibili. Per quanto riguarda la Previdenza per la vecchiaia 2020, una cosa è certa: qualora il Consiglio nazionale dovesse riuscire a imporre la sua versione della riforma, onerosa e contraria ai principi sociali, il referendum sarà inevitabile. Soltanto il compromesso del Consiglio degli Stati è in grado di risolvere i problemi della previdenza per la vecchiaia. Se i diversi vantaggi della riforma potranno controbilanciare il passo indietro costituito dall’innalzamento dell’età pensionabile femminile, i delegati dell’USS lo decideranno poco dopo il termine della sessione, il 24 di marzo.

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