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Vogliamo un servizio pubblico forte!

Quarant’anni di neoliberismo, dopo i primi attacchi di Reagan e Thatcher, hanno messo sotto torchio il servizio pubblico. In Svizzera, i libri bianchi di Schmidheiny, De Pury e vari altri hanno condotto anche allo smembramento delle PTT. Tuttavia i sindacati stanno tornando all’offensiva. Una giornata di sensibilizzazione a favore del servizio pubblico ha dato il via a una campagna che si svilupperà sui prossimi anni. Facciamo il punto con Alain Carrupt, presidente di syndicom.

“Vogliamo un servizio pubblico forte!”. Ecco qual è stata la parola d’ordine della giornata di sensibilizzazione per il servizio pubblico tenutasi il 27 febbraio a Berna su invito dell’Unione sindacale svizzera e di molti sindacati, fra cui anche syndicom. È stato il debutto di una campa-
gna per rimettere il servizio pubblico al centro delle discussioni. A causa dei programmi di au-
sterità dei Cantoni, delle privatizzazioni e dell’ottimizzazione dei profitti, il servizio pubblico è finito troppo sotto pres-
sione. Alain Carrupt, presidente di syndicom ci parla proprio di pressione sui costi dei servizi di base della Posta.

syndicom, il giornale: Che importanza riveste il servizio pubblico per syndicom?

Alain Carrupt: syndicom è molto legato al servizio pubblico, attraverso diverse sue divisioni, come la Posta, le telecomunicazioni, che hanno dei mandati di servizio pubblico dalla Confederazione; ma per me anche l’informazione fa parte del servizio pubblico.

A dispetto delle esigenze della legge che obbliga la Posta a seguire un mandato di servizio di base, gli uffici vengono chiusi e vengono rimpiazzati dalle agenzie o dal servizio a domicilio. Non è che la Posta sta mettendo a rischio dei servizi pubblici che dovrebbero avere, per legge, natura universale?

Le richieste verso la Posta sono fissate dalla legge e dal Consiglio federale. Accanto ai suoi compiti di servizio pubblico, e ai suoi obblighi di datore di lavoro sociale fissati negli obiettivi strategici della Confederazione, il Consiglio federale si aspetta dalla Posta una crescita produttiva e un’attività migliorata, che essa consegua un aumento durevole del proprio valore, e che essa versi, ogni anno, un dividendo alla Confederazione – 200 milioni l’anno scorso – e che si espanda all’estero. Tutto que-
sto mette la Posta sotto una forte pressione. Il mandato è quanto meno contraddittorio dal momento che chiede alla Posta di assumersi delle mansioni di servizio pubblico affiancandole però degli imperativi economici alti. Qui sussiste un dilemma importante. Un margine di utile di oltre il 10% non viene raggiunto da nessun’altra Po-
sta in Europa, e alcune vengono spesso separate dalle loro attività bancarie. Questo corrisponde più o meno al rendimento della Nestlé! Una tale produttività può essere raggiunta soltanto attraverso una pericolosa intensificazione del lavoro che alcuni dipendenti postali pagano con la propria salute. E la direttrice, Susanne Ruoff, che afferma pure di non voler rioccupare i posti de-
gli impiegati postali che vanno in pensione…

Metodi contabili assai discutibili per sovraccaricare gli uffici, mancanza di trasparenza, una sorta di legge del silenzio durante i negoziati con i Comuni. Su questi me-
todi della Posta messi in evidenza da diversi media, qual è la posizione di syndicom?

Queste denunce partono dai politici, in seno al Parlamento e nei media. Da parte sua syndicom, da molto tempo, chiede una maggiore trasparenza. Noi vorremmo soprattutto essere messi a conoscenza dei futuri piani della Posta in relazione alla chiusura di altri uffici. Ci aspettiamo maggiore trasparenza sui criteri utilizzati e soprattutto che i Comuni siano meglio informati sulle loro possibilità di fare ricorso contro le decisioni della Posta, specialmente presso PostCom. L’anno scorso soltanto sei Comuni hanno fatto ricorso a quest’istanza. Sono pochissimi. Abbiamo anche constatato che la democrazia non funziona bene nei Comuni in quanto le autorità sono sottomesse a delle clausole di confidenzialità. Gli esecutivi decidono senza consultare la loro popolazione.

E cosa fa syndicom contro tutto questo ?

Ovviamente syndicom sostiene ogni movimento cittadino che si oppone alla chiusura di un ufficio postale. Durante il congresso di syndicom a dicembre – l’organo supremo del nostro sindacato – i delegati hanno so-
stenuto con forza una risoluzione che chiedeva che «syndicom elaborasse delle strategie per mettere fine alla chiusura degli uffici postali e al loro rimpiazzo attraverso le agenzie postali – e per impedire che i collaboratori della Posta, protetti dal CCL Posta, vengano sostituiti da lavoratori sottratti alla tutela del CCL e dei salari minimi».

Nel 2009 la Posta aveva pubblicato una lista di uffici postali che voleva porre sotto esame…

In verità è stato il Sindacato della comunicazione – poi diventato syndicom – che all’epoca aveva pubblicato la sua lista secondo stime che avevamo fatto, parallelamente alla petizione che avevamo lanciato contro la chiusura degli uffici. Successivamente la Posta ha pubblicato la sua lista sotto la pressione dei sindacati e del popolo. Dopodiché il tutto è sfuggito al controllo. La Posta ora fa tutto un po’ alla volta. In maniera molto discreta. Spesso veniamo informati dalle autorità soltanto a cose fatte.

Dunque le agenzie non rappresentano una buona soluzione?

La Posta afferma che l’80% delle persone è soddisfatto con i servizi delle agenzie. Quello che con-
stata syndicom è che la missione del servizio pubblico non è di coprire i bisogni dell’80% della popolazione, ma di mirare al 100%. Ecco quale dovrebbe essere il fattore determinante. Il puro rendimento non può essere l’unico criterio. Quello che conta è rispondere alla quasi totalità delle esigenze. Ecco che cosa ci si aspetta da un servizio pubblico.

Nel tuo intervento alla giornata del servizio pubblico hai illustrato i diversi pericoli che incombono: diminuzione del volume della corrispondenza, regressione della rete postale, dumping praticato dalle agenzie, riduzione delle prestazioni, impiego fortemente sotto pressione. Che tipo di soluzioni ipotizzi?

La prima soluzione è quella di finanziare il servizio postale a lungo termine. Qui ci sono due possibilità. La prima è mantenere il monopolio residuale sulle lettere (50 grammi). La seconda è poter utilizzare i profitti conseguiti dai servizi finanziari della Posta. Bisogna assolutamente evitare una privatizzazione di PostFinance. Inoltre, la missione di servizio pubblico deve restare al centro delle priorità della Posta che deve conservare una fitta rete di uffici postali. Infine va eliminato il dumping salariale, assoggettando il personale delle agenzie al CCL della Posta. La generalizzazione degli impieghi a tempo parziale deve essere evitata attraverso l’estensione degli orari di distribuzione. E se la diminuzione dei volumi della corrispondenza proseguirà a questo ritmo – e la Posta non fa abbastanza per contrastare questa tendenza – dovranno essere presto prese delle misure di riqualifica professionale.

La riduzione del volume della corrispondenza però rimane una realtà, non è così?

Va detto che i dirigenti della Posta dipingono sempre tutto di nero! Claude Béglé, il vecchio direttore della Posta, nel 2009 aveva annunciato che le lettere sarebbero diminuite del 30% da qui al 2015. Al momento questa regressione ammonta soltanto al 10%. Gli svizzeri dunque sembrano essere più attaccati alle lettere che altri popoli. Tra l’altro bisogna anche ricordare che la principale causa della perdita dei posti di lavoro alla Posta nella distribuzione è lo smistamento meccanico con il grande progetto Distrinova! Non è la riduzione del volume che causa i maggiori danni all’impiego. Viene dunque spontaneo chiedersi perché la Posta ha investito centinaia di milioni per un servizio che porterà indiscutibilmente a un declino? O la loro comunicazione è contraddittoria oppure è stata fatta una scelta sba-
gliata. Non è certo la riduzione del 2% del volume delle lettere dell’anno scorso a essere la ragione principale della soppres-
sione degli impieghi, bensì la volontà di rimpiazzare il personale con delle macchine.

Acidus, l’associazione cittadina per la difesa degli utenti del servizio pubblico, è arrabbiata nel vedere che continuano a chiudere un ufficio postale dopo l’altro e che continuano a tagliare il personale nonostante i profitti siano in continua crescita. Questa asso-
ciazione attiva nel canton Vaud propone di rinazionalizzare la Posta. Tu cosa ne pensi ?

È difficile rinazionalizzare qualcosa che è ancora in mano allo Stato. La Posta non è stata privatizzata. Bisognerebbe invece rafforzarne il controllo politico. Attraverso i suoi obiettivi strategici, il Consiglio federale deve rimettere al centro delle sue priorità la missione del servizio pubblico della Posta. Porto il mio saluto a questa importante associazione che già da molti anni porta avanti una lotta in favore del servizio pubblico. L’ideale sarebbe che nascessero altre associazioni come Acidus, al di fuori del canton Vaud.

Sono usciti altri approcci da questa Giornata sul servizio pubblico?

Alcuni interventi, come quello di Ruth Lüthi, vecchia consigliera agli Stati (PS/FR), hanno mostrato che raramente dei servizi pubblici sono diventati più redditizi e meno cari dopo la loro privatizzazione. L’esempio delle ferrovie in questo senso è lampante, soprattutto quello inglese che è stato catastrofico per i dipendenti e per la sicurezza dei passeggeri. In Europa è in atto una riforma molto pericolosa che mira a liberalizzare il trasporto nazionale dei viaggiatori attraverso una privatizza-
zione strisciante. Anche i pericoli della privatizzazione dell’acqua sono stati da tempo ampiamente dimostrati. Non per nulla syndicom è una delle prime associa-
zioni senza scopo di lucro ad aver aderito alla cosiddetta blue community, ovvero a questa comunità blu, che s’impegna a difendere l’acqua come un diritto umano e che lotta affinché essa rimanga in mano pubblica. Una maniera concreta di difendere il servizio pubblico rinun-
ciando all’acqua confezionata in bottiglia.

Qual è il tuo sentimento per il servizio pubblico?

È un attaccamento viscerale. Io sono «cresciuto» nella Posta! Li sento profondamente den-
tro di me. I servizi pubblici sono una necessità, non solo per un discorso di qualità dei servizi, ma soprattutto perché il fatto che i servizi di base di un Paese siano in mano alla collettività e non agli interessi privati costituisce l’essenza di una democrazia. Altrimenti continueranno a essere sacrificati sempre i più deboli.

Intervista di Yves Sancey

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