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ATS, al servizio della democrazia

L’agenzia di stampa svizzera svolge un ruolo fondamentale per la coesione del Paese e per la formazione dell’opinione pubblica. Per questo va sostenuta ancor di più, in tempi di crisi e di disinformazione.

31.01.2028 Sciopero del'ATS a Berna - manifestazione davanti Tamedia Zurigo

Federico Franchini

Mi occupo spesso di cronaca giudiziaria federale per la newsletter romanda Gotham City. Abitando in Ticino ho la fortuna di essere vicino al Tribunale penale federale, istituito a Bellinzona nel 2004 in ragione di una ripartizione federalista della giustizia. La decisione non ha fatto tutti contenti. Soprattutto chi deve scendere in Ticino per un processo: imputati, avvocati, procuratori. E giornalisti. A parte i casi di grande interesse mediatico, la sala stampa del Tribunale è spesso desolatamente vuota. Vi è però un’eccezione: l’Agenzia telegrafica svizzera (ATS), sempre presente ai dibattimenti. Processi lunghi, a volte noiosi, ma anche ricchi di spunti e colpi di scena. Seguirli è imperativo: la giustizia necessita di trasparenza. Tuttavia, se non ci fosse l’ATS, processi per riciclaggio o corruzione sarebbero una sorta di rituale per le parti svolto nell’ombra.

Il servizio pubblico dell’informazione

Questo è solo un esempio per mostrare l’importanza del lavoro delle colleghe e dei colleghi dell’ATS. Un lavoro costante, fatto 24 ore su 24, 365 giorni all’anno e nelle tre lingue nazionali, da una squadra di professionisti di cui nemmeno si conosce la firma. Sui quotidiani, infatti, i nomi dei redattori non appaiono: i loro articoli portano in calce la semplice sigla dell’agenzia nata nel 1895 e nota per la sua correttezza e imparzialità. Insomma, l’ATS svolge un ruolo essenziale di servizio pubblico ed è necessaria alla democrazia federale proprio per la copertura di eventi politici, giudiziari, economici, sportivi e culturali che altrimenti sfuggirebbero al quarto potere.

Un ruolo messo a rischio dalla logica del profitto

Ma in questi ultimi anni l’ATS soffre sempre più. Nell’inverno 2018 è andato in scena qualcosa d’impensabile in Svizzera: uno sciopero. Un conflitto causato dall’annuncio della soppressione di una quarantina di posti di lavoro sullo sfondo della fusione con Keystone. Una fusione poi avallata dagli azionisti tant’è che oggi si parla di Keystone- ATS, i cui principali azionisti sono l’agenzia austriaca APA (30%), seguita da TX Group (24,4%). Una fusione che ha suscitato diverse perplessità, anche perché la nuova entità è ormai una società per azioni privata che risponde solo ai suoi azionisti. L’impatto si è già fatto sentire: dal 2018 al 2020 i posti a tempo pieno sono scesi da 216 a 174 mentre la cifra d’affari è passata da 43 a 37 milioni di franchi. Un calo dovuto a vari fattori tra i quali il fatto che gli stessi azionisti – che sono gli editori – hanno spinto per una riduzione delle tariffe o disdetto gli abbonamenti.

Farsi pagare dai giganti della tecnologia

In questi anni, Keystone-ATS è stata sostenuta dalla Confederazione. Nel 2021 il contributo è passato a 4 milioni di franchi. A questi aiuti potrebbe aggiungersi anche una parte dei contributi stanziati dalla Confederazione tramite il pacchetto di aiuti ai media su cui si voterà il prossimo 13 febbraio. Si tratta dei 23 milioni che andrebbero “a beneficio dell’intera piazza mediatica svizzera” attraverso il finanziamento anche delle agenzie stampa. Contributi indispensabili, ma dietro cui non si può nascondere un altro problema: il calo della pubblicità. O meglio, il fatto che questa s’incanala sempre più verso multinazionali come Google e Facebook. In Svizzera, il mercato pubblicitario cede circa un miliardo e 400 milioni di franchi all’anno ai giganti di Internet. Una riduzione che ha portato a tagli, chiusure, concentrazioni e pressioni sul lavoro delle redazioni. Ciò che, di controcanto, si ripercuote anche su Keystone- ATS. Proprio per contrastare questa tendenza, in Francia, l’AFP (ovvero, l’agenzia di stampa nazionale) e Google hanno firmato un accordo quinquennale con il quale il gigante americano s’impegna a pagare l’uso del suo contenuto. Un esempio da cui prendere spunto anche in Svizzera?
 

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