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Oggetti di culto di una cultura abietta

Circa due terzi della popolazione mondiale possiedono un telefono cellulare. Si stima che nel 2012 siano stati venduti 1,7 miliardi di cellulari, dei quali circa 2,8 milioni in Svizzera. Fanno ormai parte del nostro quotidiano. Ma la loro fabbricazione è molto problematica: dall’estrazione dei metalli preziosi presenti nei telefonini all’assemblaggio degli apparecchi e al loro smaltimento le violazioni dei diritti umani, i danni alla salute e l’inquinamento dell’ambiente sono all’ordine del giorno. Un’edizione speciale della rivista Solidaire della Dichiarazione di Berna (DB), dalla quale è stato tratto questo dossier, ha approfondito il tema della catena di approvvigionamento legata alla fabbricazione e vendita di questi oggetti considerati ormai indispensabili.

 

La costruzione di un telefono cellulare richiede circa 60 materiali diversi. L’estrazione di numerose materie prime avviene in Paesi in via di sviluppo in condizioni disumane e disastrose sul piano ecologico. Le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.

Ma per il momento è impossibile controllare da dove provengono esattamente i metalli presenti nei nostri cellulari. Le materie prime rivestono un’importanza fondamentale per l’economia mondiale e sono diventate un tema di scottante attualità. Molti Paesi in via di sviluppo sono ricchi di materie prime ma le loro popolazioni rimangono povere. Leggi inefficienti, strategie di aggiramento fiscale delle multinazionali e governi corrotti fanno sì che le popolazioni locali vivano sulla propria pelle soprattutto i problemi legati all’estrazione di materie prime, invece di beneficiare della ricchezza che ne deriva. La lotta per il controllo delle risorse minerarie provoca spesso conflitti tra Stati, ma anche tra diversi gruppi di interesse all’interno di un singolo Paese. In questi casi, le comunità indigene hanno quasi sempre la peggio. Per far posto all’estrazione dei metalli, esse vengono scacciate dalle loro terre o perdono l’accesso all’acqua potabile. Numerosi conflitti armati in tutto il mondo sono cofinanziati dai proventi dell’estrazione mineraria. Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), ad esempio, sia i ribelli che l’esercito sfruttano la vendita dei metalli estratti dalle miniere da loro controllate. Con il termine “minerali da conflitto” si intendono soprattutto tantalio, oro, tungsteno e stagno provenienti dalla RDC e dai Paesi circostanti.

Lavoro pericoloso e danno ambientale

Il lavoro nelle miniere è duro, pericoloso e in genere anche mal pagato. Il contatto con sostanze tossiche come il mercurio, utilizzato ad esempio per l’estrazione dell’oro, con le polveri o anche la fatica eccessiva provocano gravi danni alla salute. Nei pozzi stretti e non protetti delle miniere artigianali gli incidenti sono all’ordine del giorno. Chi lavora nelle miniere artigianali non ha un salario garantito. La paga dipende dal materiale estratto e da quanto trattiene per sé il proprietario della miniera. E il lavoro minorile è un problema molto diffuso. Nelle miniere industriali a cielo aperto, per estrarre i metalli si distruggono immense superfici per raggiungere gli strati di roccia che contengono minerali metallici, consumando ingenti quantità di energia e di acqua. Inoltre, per separare i metalli dalla roccia si ricorre spesso a prodotti chimici altamente tossici come il cianuro. Nelle zone minerarie, ingenti quantità di suolo e molti corsi d’acqua sono contaminati. Le conseguenze sono malattie e perdite di reddito.

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